una affresco di Giotto con Bonifacio VIII che indice il primo Giubileo

I pellegrinaggi e il Giubileo

A piedi da Pietro

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* Docente di Storia moderna all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

[i precedenti del Giubileo]

Roma, fine del 1299. In prossimità delle feste di Natale, il numero dei pellegrini era andato crescendo vistosamente. Da tempo, ormai, la Città Eterna si era affermata come il fulcro dei percorsi penitenziali dei credenti di tutto l’Occidente latino. A Roma si custodivano le sepolture dei due apostoli sommi, Pietro e Paolo. In un fitto reticolo di chiese prestigiose si concentravano le memorie artistiche più spettacolari del culto cristiano, le reliquie tra le più preziose della passione di Cristo e dei grandi patroni celesti vissuti nei primi secoli, un cumulo di segni sensibili del sacro che si potevano accostare da vicino con i propri occhi, fatti oggetto di una preghiera lanciata alla ricerca di grazie e miracoli straordinari. Compiere il sacrificio del pellegrinaggio, nelle condizioni precarie delle vie di comunicazione di quei tempi, quasi esclusivamente a piedi, muovendosi per decine di giorni in ambienti sconosciuti, fra genti straniere, era un gesto di rottura che assumeva non di rado la fisionomia di un vero e proprio atto di eroismo: implicava la volontà di provare a dire no alle storture del passato lasciato alle spalle, e così predisponeva a meritare il premio desiderato. Attingere all’infinita misericordia da cui rifluiva sugli uomini la possibilità della rigenerazione e del perdono era il culmine di una mendicanza vissuta fino a piagarsi i piedi per il lungo tragitto percorso, patendo le intemperie e la fame, impastandosi con la terra e il fango come i celebri pellegrini in ginocchio davanti a Maria dipinti da Caravaggio. Solo così, quando era vissuto in modo autentico e sincero, il pellegrinaggio consentiva di liberarsi dal peso opprimente delle colpe accumulate nel corso dell’esistenza. La comunione ristabilita con Dio ridava fiato alla fiducia che anche il peccatore più incallito potesse essere accompagnato sui sentieri di una riconciliazione che, puntando alla conquista della felicità eterna nel Regno della beatitudine paradisiaca, cominciava tuttavia a costruirsi dentro le contraddizioni e i fallimenti dell’aldiquà.

Nei secoli finali del Medioevo, l’esigenza di gettare un ponte di collegamento tra il mondo della terra e quello del cielo, tra il desiderio umano di salvezza e l’accesso al bene della soddisfazione senza limiti, aveva nutrito l’elaborazione del sistema delle indulgenze. Si trattava di speciali anticipazioni della carità sprigionata dal sacrificio di Cristo sulla croce, che consentivano di abbreviare l’itinerario di purificazione attraverso cui, in nome di una logica di giustizia, tutti i viventi erano chiamati a passare, concludendo il loro percorso dopo la morte nel “terzo luogo” intermedio del Purgatorio, se volevano spianare la strada per raggiungere l’unione perfetta con il Signore dell’universo, meta del loro destino e vertice di tutto ciò che dà la pienezza del suo significato a ogni istante del vivere. I perdoni delle indulgenze divennero una concessione che il successore di Pietro cercava di riservare alla sua autorità suprema: era solo lui, in quanto vicario di Cristo, che poteva rivendicare il diritto di sciogliere e di legare con le sue chiavi gli uomini gravati dal fardello dei peccati, alleggerendoli di una parte più o meno consistente delle pene da sopportare per essere poi restituiti a una vita pienamente redenta.

Roma era il crocevia da cui si disseminava la pioggia inarrestabile di questi benefici. Ma per vario tempo i perdoni elargiti attingendo all’amore sovrabbondante di Cristo immolato sul Golgota restarono connessi a circostanze a loro volta eccezionali, come la partecipazione alle crociate, oppure la visita di luoghi santi in alcuni momenti esclusivi: è il caso dell’indulgenza della Porziuncola di Assisi ottenuta da san Francesco all’inizio del XIII secolo, oppure quello della “perdonanza” di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila, concessa da Celestino V nel 1294.

[il primo Giubileo]

Arrivati a ridosso della fine del Duecento, in vasti ambienti del popolo cristiano si diffuse l’idea che la soglia da attraversare per il cambio di secolo avrebbe potuto coincidere con l’ingresso in un tempo di grazie speciali allargate alla totalità dei fedeli, in grado di segnare una svolta nella vita della Chiesa nel suo insieme, dal basso risalendo fino alle più alte gerarchie di governo. Si inaugurava un nuovo ciclo nella storia del mondo e la concessione di una indulgenza finalmente dilatata in senso globale era immaginata come un preludio di enorme rilievo. Questo spiega come mai avvicinandosi ai primi giorni del 1300 la pressione dei cittadini romani e di una folla sempre più larga di forestieri che convergevano su Roma nutrendo la medesima aspettativa cominciò a trasformarsi in un’ondata a tal punto contagiosa da costringere il sommo pontefice a prendere posizione. Per settimane nella cerchia papale ci si interrogò su come rispondere alla richiesta di un provvedimento di speciale benevolenza a favore dei credenti. Furono avviate indagini per capire come ci si era regolati nelle precedenti ricorrenze centenarie, senza riuscire a trovare alcuna documentazione chiarificatrice. Solo alla fine di febbraio del 1300 Bonifacio VIII ruppe gli indugi, accingendosi a compiere un passo che gli consentiva anche di incrementare il suo ruolo di arbitro superiore dei destini di salvezza della comunità solidale della Respublica christiana. Il 22 febbraio emanò la bolla che concedeva per un intero anno l’indulgenza plenaria garantita ai fedeli che avessero compiuto la visita, per numerosi giorni di seguito, alle basiliche degli apostoli Pietro e Paolo e, accostandosi ai Sacramenti della Chiesa, si fossero impegnati a riaffermare il primato della fede nel Cristo redentore.

Da allora, la tradizione del Giubileo cristiano, che riprendeva nella sua stessa titolazione l’idea dell’anno di purificazione generalizzata previsto dalla legislazione ebraica più matura però a intervalli di ogni cinquant’anni, cominciò a radicarsi stabilmente. Si sviluppò nel suo impianto e prese ad attrarre una cerchia sempre più larga di fedeli. Dentro il nuovo orizzonte di una storia della salvezza ormai portata al suo compimento definitivo, il bisogno di poter condividere il tesoro di grazie moltiplicate dal sacrificio di Cristo, dai meriti della Vergine, dei martiri e dei santi che ne avevano ricalcato le orme, spinse subito a dimezzare la scansione secolare. Si ritornò a quella dei cinquant’anni immaginata nei libri dell’Antico Testamento. Si aggiunse la possibilità di promulgare Giubilei di carattere straordinario. E già entro la fine del Quattrocento si passò alla scadenza dei venticinque anni diventata la norma fino a oggi.

Non contenti di questo, si volle unire alle due basiliche da visitare previste in origine le altre due basiliche patriarcali di San Giovanni in Laterano e di Santa Maria Maggiore. Sempre nel corso del Quattrocento, si introdusse l’uso di far accedere i pellegrini passando per una speciale Porta santa, aperta solo all’inizio dell’anno giubilare: la porta era il simbolo di Cristo, l’unico tramite attraverso cui si rendeva possibile l’ingresso in una esistenza risanata alla sua ultima radice. Parallelamente, si ramificarono in tutto il contesto europeo i supporti anche di sostegno materiale per agevolare gli spostamenti in direzione dell’approdo alla città di Roma e per ospitare caritatevolmente chi veniva da lontano durante il suo soggiorno, quando i fedeli affluivano, a migliaia, da ogni angolo della cristianità.

[il Giubileo nei secoli]

Dagli inizi dell’età moderna, la tradizione del Giubileo si è prolungata fino al presente. Reagendo alle contestazioni che la ferivano, ha potuto essere purificata nel suo modo di organizzarsi, nel discorso che la sostiene e nei significati a cui si propone di rispondere. Si è verificata quella che possiamo definire una ricentratura sull’essenziale. Con il magistero dei papi dell’ultimo Novecento, a partire dalla svolta del Vaticano II e ora con papa Francesco, è diventato sempre più evidente che i rituali celebrativi, i segni esteriori, gli atti devozionali del pellegrinaggio, lo stesso armamentario dottrinale delle indulgenze restano, sì, un valido filtro di mediazione. Ma hanno bisogno prima di tutto di essere accolti come uno strumento per risalire fino al cuore pulsante da cui scaturisce la grazia del perdono che rigenera la vita e la riapre alla prospettiva di una speranza fiduciosa: quella della speranza «che non delude», come ce la ripresenta la bolla di indizione dell’imminente Giubileo del 2025.

La vera speranza cristiana non è il prodotto degli atti di buona volontà, dei soli sforzi morali del soggetto umano: un abisso di sproporzione divide l’ampiezza del desiderio di salvezza inscritto nel tessuto del vivere e le possibilità di riuscita affidate alle nostre povere forze. La speranza del bene supremo da riconquistare è prima di ogni altra cosa il frutto dell’adesione a un abbraccio di misericordia che ci viene spalancato al di là di ogni nostro merito preventivo. La grazia del perdono che «ridona la vita» è già stata messa in moto. Ci sta di fronte. Ci precede. A noi spetta l’umiltà di riconoscerne le tracce, di pronunciare il nostro sì rispondendo all’amore gratuito che da Cristo, attraverso la compagnia umana e misteriosamente divina della Chiesa, ci raggiunge là dove si svolge la nostra vicenda. Solo l’io che si lascia rigenerare dall’amore di Dio «che è carità» può diventare il segno, il piccolo germe di una realtà di vita nuova insinuata nelle trame anche più opache e velenose attraverso cui si amplifica la potenza negativa del male dentro il mondo concreto che abitiamo. Si tratta semplicemente di riaprire le prigioni soffocanti delle nostre corte misure al varco di una luce che reclama di farsi spazio già qui e ora, risorgendo dalle profondità più nascoste del Mistero che accompagna la storia del mondo.