un quadro di Rembrandt: due vecchi discutono

È utile discutere?

è comunque inevitabile e può essere utile

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Il problema

Quanto si dirà qui riguarda soprattutto l’importanza o meno della discussione da parte di credenti. Alcuni credenti infatti, partendo dalla giusta considerazione che a) le cose più decisive della vita non sono frutto di discussione, ma sono un dono, e che b) spesso e volentieri discutere diventa un controproducente, sterile campo di battaglia, concludono che discutere è sempre e comunque sbagliato.

La cosa peraltro non riguarda solo i credenti, perché ad avversare la discussione sono un po' tutti coloro che negano che la ragione umana sia apertura alla realtà e che gli esseri umani siano un'unica famiglia, con la stesa natura e la stessa ragione, e di conseguenza pensano all'altro come nemico da vincere, piuttosto che come un (auspicabile e potenziale) amico con cui cercare insieme la verità. In effetti, come ho detto anche nel mio Le nostre società vedono, al loro interno, una sempre maggior presenza di diverse visioni del mondo (cristianesimo, islam, ateismo e così via).
Questo fatto pone sì un problema, a differenza di quanto pensa un multiculturalismo radicale.
Ma non si tratta di un problema insuperabile, a differenza di quanto pensa l'ultraconservatorismo identitario che sogna il ritorno a una società completamente omogenea.
Qui si cerca una soluzione equilibrata al problema, che ponga dei paletti vincolanti per tutti, e al tempo stesso rispetti le legittime differenze
Dia-logos, copertina Dia-logos. Per una ragionevole convivenza multiculturale
, se non si può convincere, si può solo vincere.

che cosa è “discussione”

Per discutere si intende, almeno qui, confronto di argomenti relativamente a un problema, sia esso teorico/ontologico (con domande del tipo “che cosa è x?”, “come va interpretato x?”) o pratico (“qual è la scelta migliore per affrontare x?”). Questo implica che si paragonino diverse alternative a un dato problema, per individuarne la migliore, la più corrispondente alla realtà.

Decisivo in una discussione è l'universale, dato che i dati informativi fattuali, particolari, sono, in sé stessi, qualcosa di ... indiscutibile, se si è leali con i propri sensi (e se ci si può fidare della attendibilità di chi fornisce informazioni fattuali). È sulla loro interpretazione che può sorgere divergenza e necessità di soppesare argomenti alternativi (come anche chiarire il senso dei termini, universali, usati). Discutere quindi implica utilizzo (oltre che di informazioni particolari) di concetti universali, implica l'universale, con cui ha a che fare la ragione, la ragione naturale, raziocinante, argomentante.

tra chi si può discutere

Di per sé uno può anche discutere dentro di sé (viene in mente una poesia di Eliot: «queste cose che troppo discuto con me stesso», «These matters that with myself I too much discuss»Ash Wednesday): uno può pensare dentro di sé a un certo fatto o a un certo problema, cercandone la più adeguata interpretazione, o può soppesare dentro di sé i pro e i contro di una certa scelta.

È vero che per lo più è decisivo, nelle questioni del senso ultimo della vita, una adesione di tipo intuitivo-esperienziale, come quella che Maritain chiamava, con Tommaso d'Aquino conoscenza per connaturalità.

Tuttavia l'apporto del raziocinio non è mai inutile, e in non pochi casi diventa indispensabile.

Se si può anche discutere “dentro di sé”, per lo più con “discutere” e “discussione” si intende un confronto argomentato tra diverse persone, per la soluzione di un problema, che come già detto, può essere teorico (ontologico) o pratico.

Ma anche quest'ultima tipologia deve scindersi tra discussioni private (tra poche persone, che si conoscono o comunque hanno occasione di confrontarsi direttamente) e discussioni pubbliche (con una platea più o meno ampia di ascoltatori). Quindi in sintesi, dal punto di vista quantitativo si può distinguere tra

  • discutere tra sé e sé,
  • discutere tra poche persone, “in privato”
  • discutere tra molte persone o gruppi (al cospetto, reale o virtuale, di molti), “pubblicamente”.

come si può discutere

Ma c'è un'altra importante distinzione tra diversi tipi di discussione, che riguarda la loro qualità, ossia la loro produttività/costruttività

C’è infatti modo e modo di discutere: si può discutere (dentro di sé o con altri) cercando la verità, e disposti a “mettere in discussione” le proprie previe convinzioni. Oppure si può discutere per far prevalere quanto uno ha già in testa, cioè un pregiudizio

Un sintomo del fatto che uno discute in sé stesso nel secondo modo è che il suo modo di pensare è contrassegnato da agitazione e turbamento. Mentre, nella misura in cui ci si avvicina al primo modo, si pensa senza vorticoso turbinio, senza alzare polveroni per nascondere a sé stessi la falsità della piega che i propri pensieri stanno prendendo.

Quando si discute con altri con benevolenza, si cerca insieme la verità (il primo esempio storico che si avvicina a questo ideale è quanto faceva Socrate coi suoi discepoli e con chiunque fosse interessato a discutere con lui, e teniamo presente che senza Socrate non ci sarebbero stati Platone e Aristotele, il che sarebbe stato un danno tutt’altro che insignificante per la cultura occidentale, e per quella cristiana, che ha sempre utilizzato ampiamente tali autori nel suo sforzo di pensare la fede). L'alternativa è discutere avendo come obiettivo unico o almeno prevalente, quello di fare prevalere quello che già si pensa. Ed è chiaro che in questo secondo caso una discussione sarebbe inutile e sterile, anzi è addirittura produttrice soltanto di malumore, frustrazione e antipatia, se non odio. Qui per “discutere” si intende il primo senso del termine: confrontare argomenti con benevolenza, nella comune ricerca della verità.

di che cosa si può discutere

In estrema sintesi possiamo distinguere tre livelli a proposito dei quali ci può essere discussione:

  • sul “vertice” della realtà; il senso della vita,
  • sulle grandi questioni ideali (come la politica o la cultura) [il livello intermedio]
  • su problemi “tecnici” (ad esempio di ambito medico, o ingegneristico) [il livello di base]

discutere è inevitabile

Ci sono delle cose nella vita umana, che non sono frutto di discussione, ma sono date, sono date e vanno accolte con semplicità (e gratitudine). Si tratta delle cose più importanti: ciò che riguarda il senso della vita. Chi è credente sa che il senso della vita ci è svelato per pura grazia, in Cristo, nell'incontro con l'Avvenimento di Cristo. Che dobbiamo essenzialmente accogliere e custodire, tornando sempre allo spirito del primo incontro: perché l'Oggetto della fede non si può possedere, capire, ma è qualcosa che ci stupisce sempre. Come diceva San Gregorio Nisseno: «i concetti creano gli idoli. Solo lo stupore conosce» si tratta in realtà di una sintesi piuttosto libera di un testo ben più complesso e articolato de La vita di Mosé, di cui però rispetta perfettamente il senso profondo. A questo livello il rapporto interpersonale più vero e autentico non si impernia su un confronto tra argomenti, un confronto tra idee (universali), tra universali, tra universalità di concetti, ma è essenzialmente comunicazione di esperienza, comunicazione di un Singolare, la singolarità dell'Avvenimento cristiano. Che nessuno possiede, come esito di un suo ragionamento, ma che è un dono ricevuto e non possedibile, per cui «gratuitamente uno ha ricevuto, e gratuitamente dà». E tuttavia, anche a questo livello, una certa componente di discussione è inevitabile.

Tuttavia ci sono altre cose, altri livelli della realtà e della vita per i quali è impossibile evitare la discussione come confronto di argomenti.

Perché è inevitabile confrontare argomenti

la radice filosofico-teologica di una necessità

«la verità è opera di uomini che vivono insieme
e discutono con benevolenza» così Gianfranco Dalmasso sintetizzava delle frasi, più lunghe e complesse, tratte dalla VII Lettera di Platone

Il motivo principale per cui è inevitabile confrontare argomenti è che su tantissime questioni (teoriche e pratiche) la soluzione non è immediata e facile. E ciò perché la conoscenza umana è imperfetta. E Dio facendocisi incontro in Cristo ha reso possibile affrontare i problemi nel modo migliore, ma non li ha risolti tutti lui: lascia che la creatura usi delle sue capacità naturali per affrontare i comuni problemi della “natura” (in senso teologico), cioè i problemi dell'ambito “profano”. E d'altra parte la collaboratività tra gli esseri umani è sommamente utile, se non necessaria: già a livello naturale, un confronto benevolo e costruttivo tra persone non può che arricchire, e a livello soprannaturale non si vede perché chi è chiamato all'unità non possa cercare la massima unità, oltre che da un punto di vista del sentimento, anche da un punto di vista logico-conoscitivo.

Né andrebbe dimenticato che la conoscenza umana è aperta alla realtà, e quindi può e vuole conoscere le cose, come stanno le cose, come è fatta la realtà e quindi quali siano le scelte più aderenti alla realtà. Se conoscere la realtà non fosse possibile, come vuole il relativismo, allora ognuno farebbe bene a restarsene con la sua verità, ognuno sarebbe, come pensava Protagora, «misura di tutte le cose» («πάντων χρημάτων μέτρον»). Ma se ha ragione il realismo, se conoscere la realtà è possibile, per quanto imperfettamente e progressivamente, allora diventa pienamente sensato arricchire il proprio punto di vista con quello di altri, diventa pienamente sensata la massima collaboratività. Non per creare la verità, non perché mettendosi d'accordo una cosa che è nera diventi bianca, ma aiutarsi reciprocamente a riconoscere quel livello di verità che da soli conosceremmo molto peggio e con molti più dubbi ed inciampi.


vari tipi di inevitabilità

Vediamo più in dettaglio tre possibili livelli (di inevitabilità della discussione):

il “vertice” della conoscenza

In realtà è vero che la fede è essenzialmente accoglienza di un dono, ma la Chiesa ha sempre insegnato che la ragione può e deve argomentare (per quanto possibile) riguardo alla ragionevolezza della fede. Quello della fede, della fede in senso cattolico, cioè autenticamente cristiano, è un “rationabile obsequium”.

Quindi nemmeno in questo ambito (il “vertice” della piramide conoscitiva) va esclusa (l’importanza del)l’argomentazione, del confronto tra argomenti. Non per nulla la Chiesa cattolica ha sempre coltivato quella parte di teologia che si chiama apologetica, ossia una “difesa” con argomenti razionali della fede. Non perché uno creda innanzitutto o soprattutto perché spinto da argomenti logici, ma perché anche gli argomenti logici hanno una loro importanza. Una importanza secondaria, ma reale. Del resto un grande maestro contemporaneo come don Giussani discuteva con i suoi alunni sulla credibilità della fede, segno che non riteneva totalmente inutile il confronto tra argomenti.

Certo, resta che la comunicazione/testimonianza di esperienza ha nettamente il primato su un confronto tra argomenti, nel senso che per credere e per comunicare la fede non basta argomentare: è centrale una comunicazione di esperienza, una testimonianza della fede, la condivisione di un particolare.

la “base” della conoscenza

A maggior ragione discutere è inevitabile a quello che potremmo chiamare il livello alla base della piramide, ossia il livello dei problemi puramente profani, come i problemi di carattere medico o di carattere edilizio. In tale ambito è inevitabile che uno confronti degli argomenti con altri argomenti e cerchi di farsi l’idea più adeguata per come affrontare un certo problema. Siccome nel caso di moltissimi problemi la soluzione non si presenta come ovvia, immediata, e condivisa da tutti, è pressoché inevitabile che uno confronti gli argomenti pro e gli argomenti contro di una determinata scelta. E siccome l’apporto intersoggettivo è prezioso, sarebbe impoverente se uno confrontasse argomenti solo dentro di sé, quindi qui la discussione come confronto di argomenti, è utile e inevitabile.

Qui, trattandosi di problemi che potremmo chiamare “tecnici”, la componente emotivo-affettiva è potenzialmente la più ridotta possibile, e quindi è più facile evitare la tentazione di voler prevaricare l'interlocutore (o gli interlocutori), cosa che può accompagnare le discussioni. Anche se poi esistono discussioni “stupide” dovute al fatto che uno o più dialoganti “si impuntano” per partito preso su qualcosa, che loro stessi non faticherebbero molto a capire come sbagliato.

il livello intermedio (le grandi questioni ideali)

E c'è poi un livello intermedio tra “la base” e “il vertice” della piramide, ossia il livello di quei problemi che riguardano l’ambito profano in quanto rapportato ai problemi ultimi, come ad esempio la politica o la cultura. Anche lì l’esperienza della fede getta una sua luce, ed è quindi di grande importanza una (più o meno esplicita) comunicazione di tale esperienza. Tuttavia, dato che si tratta di problemi la cui soluzione non può essere dedotta immediatamente dalla fede, è inevitabile che uno cerchi anche di argomentare dialogicamente, confrontandosi con altri.

Certo, chi è credente dovrebbe argomentare guidato dalla fede, dentro un clima mentale, per così dire, dettato da umiltà e silenzio interiore, e la massima memoria possibile dell'Avvenimento di Cristo. Quindi evitando sfoghi di umiliante aggressività (che non significa artefatta impassibilità, perché anche Cristo si arrabbiava).

Questa per esempio è la ragione per cui il Magistero della Chiesa ha pubblicato dei documenti di carattere autorevole come per esempio le encicliche sul problema sociale: dalla Rerum novarum alla Pacem in terris alla Centesimus annus, per far vedere come la fede cristiana illumina e imposta quel problema, che di per sé è profano, di per sé è comune a tutti gli esseri umani e permette così di affrontarli in modo più adeguato e più umano Ma i sommi pontefici che hanno elaborato delle encicliche sociali hanno dato degli argomenti per giustificare quello che sostenevano e un argomento in quanto tale è confrontabile con altri argomenti. Scende dalla indiscutibilità della pura esperienza di fede, nell’arena della discutibile probabilità, su cui occorre argomentare con disponibilità ad arricchire il proprio (originario/precedente) punto di vista.

La fede infatti aiuta la ragione ma non la sostituisce, non assicura, con totale infallibilità, che dalle vette della fede scaturisca una certa dettagliata soluzione. E noi di dettagliate soluzioni abbiamo bisogno per vivere. Sia come singoli, sia come realtà aggregate. L’esperienza della fede aiuta la ragione a procedere nel modo migliore. Ma è chiaro che in questo livello intermedio è necessario argomentare e quindi è necessario confrontarsi, ossia è necessario discutere. O almeno è necessario essere disponibili a confrontare i propri argomenti con gli argomenti altrui. Disposti a riconoscere chi è più competente di noi e chi (eventualmente, di volta in volta) argomenta meglio di noi.

Quindi in sostanza non è possibile una vita in cui ci si limiti a comunicare esperienze, è necessario anche confrontare argomenti. Questo perché nella vita non ci sono soltanto cose certe, non c’è soltanto l’ambito del certo, dove è fondamentale l’esperienza e dove è fondamentale che ci sia un atteggiamento di stupore, di silenzio, di accettazione di un Dato; ma c’è anche l’ambito del probabile dove è necessario esercitare quella razionalità che un credente ha in comune con tutti gli esseri umani e a questo livello è inevitabile confrontare (auspicabilmente in modo benevolo) gli argomenti che uno ha con gli argomenti che altri hanno.

Ma è possibile “discutere con benevolenza”?

La questione è se discutere cercando insieme la verità sia possibile. Che discutere sia più meno esposto al rischio della prevaricazione, al punto che in certi casi discutere diventa come minimo perdita di tempo, e causa di turbamento, è ... in-discutibile. Ma è sempre e necessariamente così? Discutere è intrinsecamente e necessariamente negativo?

La questione rimanda più in generale all’importanza della ragione come pure rimanda agli effetti del peccato originale e alla potenza del Male.

Uno sguardo cattolico dice che il peccato originale non ha distrutto la ragione e, anche con l'aiuto della grazia di Dio, non significa la totale devastazione dell'umano.

Come per molte altre cose la ragione può essere usata bene o usata male. Il fatto che sia possibile usarla male non deve spingere a rinunciare alla ragione. Anche la scienza può essere usata male; ma può anche essere usata bene. Quindi non è che siccome la scienza può essere usata male, si debba rinunciare alla scienza. Anche un coltello può essere usato male, ma non è che per questo noi dobbiamo rinunciare ad usare i coltelli. Come avviene anche in altri campi cioè il rischio che una cosa in sé stessa buona possa essere usata male, non deve spingerci a non usare di quella cosa.

Prendiamo il campo affettivo: lì abbiamo qualcosa di analogo. Per esempio non è che per il fatto che proviamo dei sentimenti benevoli verso una persona col rischio che questo diventi una pretesa di possesso, si debbano tagliare completamente i ponti con quella persona (o addirittura tagliare completamente i ponti con l’altro sesso). Quest’ultima non è un’ipotesi immaginaria perché per molto tempo soprattutto nella Chiesa tridentina l’unico modo che veniva consigliato a sacerdoti o consacrati di rapportarsi all’altro sesso era quello di evitarlo come la peste. Questo è un modo riduttivo di affrontare il problema; è un modo che butta via, a motivo di un possibile rischio, anche qualcosa di positivo che invece potrebbe arricchire la vita.

Per quanto riguarda la ragione che utilizziamo per confrontare argomenti in una discussione benevola è chiaro che anche lì c’è continuamente il rischio di usare la ragione in modo astratto, ideologico, poco o tanto violento. Ma questo non è l’unico modo in cui si possa usare la ragione confrontando argomenti con altri.

discutere sempre e con tutti?

Ovviamente il fatto che sia possibile discutere con benevolenza, non significa che non ci siano casi in cui discutere è effettivamente perdere tempo (o avvelenarsi inutilmente l'animo).

C'è però una importante distinzione da fare: quella tra ambito privato e ambito pubblico.

1) a livello privato

non sempre può valerne la pena

A livello privato, interpersonale, dove si è cioè in poche persone e “in presenza”, discutere può avere senso, ma non sempre lo ha. In particolare per quanto riguarda il vertice della conoscenza sarebbe poco realistico pensare di convincere uno della verità della fede, soprattutto o solo in base ad argomenti; su questo occorre avere una attenzione a che una pura logica, tanto più se astratta, non prevalga sulla testimonianza di una esperienza. In ogni caso la fede non è frutto di argomentazione, ma occorre che uno faccia esperienza che Cristo lo salva. E questo non può accadere senza un coinvolgimento della libertà. Il Mistero non ha voluto costringere le sue creature intelligenti a credere. E neppure costringe gli esseri umani a scegliere chi meglio di altri Lo testimonia: non si impone, me si propone. Se il Mistero avesse come “politica” quella di imporsi, allora potrebbe aver senso puntare tutto su un ragionamento che “inchiodi” l'interlocutore a una ferrea consequenzialità logica. Ma se il Mistero desidera essere amato, e perciò non vuole forzare nessuno, allora l'importanza della logica, che pure c'è e non va disprezzata, è subordinata, come già si diceva, alla testimonianza e al rapporto personale.


Per quanto invece riguarda problemi in cui l'apporto della conoscenza concettuale sia essenziale, non si vede perché non ci si dovrebbe confrontare, purché il tutto sia fatto “con benevolenza” e senza spirito di prevaricazione.

problemi con l'interlocutore

È poi del tutto ragionevole valutare se l'interlocutore abbia o meno un minimo di disponibilità a cercare insieme la verità. Sono fondamentalmente due gli ostacoli che possono compromettere la sensatezza di una discussione “privata”:

  • una constatata pervicacia di pregiudizi e/o
  • la presenza disturbante di fattori inconsci, che possono arrivare a vanificare la comunicazione di argomenti logici.

Quando ciò accada, si può ben, a ragione veduta, passare oltre quell'interlocutore (o quegli interlocutori), su quel tema, in quel momento. Senza chiudere definitivamente la partita però, nemmeno con lui(/loro). Ma guardando sempre la realtà dell'altro, nel suo darsi non deducibile, non deducibile da suoi precedenti comportamenti.

Senza dimenticare però che noi stessi non possiamo affatto dare per scontata l'assenza in noi di una qualche forma di persistente pregiudizio e di una più o meno residuale volontà prevaricatrice.

problemi con la materia del discutere

Però ciò che ci può trattenere dal discutere non sono soltanto caratteristiche del soggetto con cui potremmo discutere, ma possono essere anche caratteristiche della materia del discutere, dell'oggetto del discutere.

Ci sono infatti problemi che non meritano, per la loro intrinseca natura, di essere fatti oggetto di discussione. Ammoniva in questo senso San Paolo a evitare “questioni stolte”:

«stultas autem quaestiones (...) et contentiones et pugnas circa legem devita,
sunt enim inutiles et vanae». Evita le questioni stolte, (...) le discussioni e le polemiche a proposito della legge [di Mosè], sono infatti inutili e vane

lettera a Tito, cap. 3, v. 9

2) a livello pubblico

A livello pubblico, dove il confronto è “al cospetto” di molti, sia che si tratti di incontri “in diretta” (come in una sala, o alla radio, o in TV) sia che si tratti di confronti “scritti” (su cartaceo e su internet, ad esempio), la necessità di argomentare, di norma, si impone. Mentre cioè a livello privato può essere ragionevole schivare la discussione, a livello pubblico è molto più difficile che ciò sia giustificato da valide ragioni.

In ambito pubblico non esiste tesi, per quanto strampalata e per quanto sostenuta da soggettività della cui buona fede possa più che legittimamente dubitare, non esiste tesi, dicevamo, che non meriti di essere presa sul serio ed eventualmente confutata. Nel modo più chiaro e convincente possibile.

Non è che confrontandosi argomentativamente con una tesi bislacca la si nobiliti, le si dia una dignità. Purtroppo questo è quello che pensa ad esempio, un certo establishment scientifico, soprattutto di orientamento (ideologicamente) progressista, che guarda con spocchiosa distanza certe tesi. Il fatto è che più una tesi è bislacca, migliori argomenti si hanno contro di essa. E non si capisce perché questi argomenti non debbano esser detti. Dal punto di vista della comunicazione, ciò è un disastro, come fa notare Marc Thompson, che fu a lungo direttore della BBC (in Thompson, La fine del dibattito pubblico. Come la retorica sta distruggendo la lingua della democrazia): molto meglio dare la parola anche a un ciarlatano, e dibattere con lui sbugiardandolo pubblicamente, piuttosto che farne un martire o un vittima dando l'impressione di volergli tappare la bocca.

Non si tratta di essere inutilmente aggressivi, occorre infatti conservare il più possibile un ultimo sguardo di benevolenza sull'altro, ma di tener conto di tutti quanti “assistono” in qualche modo alla discussione, facendo il possibile perché possano farsi l'idea più esatta possibile di come stiano le cose. In ambito pubblico cadono e perdono senso molte delle possibili obiezioni alla discussione che potrebbero invece valere nell'ambito privato.

che cosa aspettarsi

L'affermazione che “argomentando non si convince nessuno” contiene un ambiguità. Da una parte infatti è vero che l’argomentazione da sola, e soprattutto un argomentazione fatta in modo non benevolo e non all’interno di un orizzonte di stupore per un dato, può essere non solo inutile, ma addirittura controproducente. Tuttavia questo non significa che qualsiasi confronto di argomenti sia intrinsecamente negativo. E per quanto riguarda la sua utilità occorre valutare se questa obiezione non nasconda una pretesa. La pretesa cioè di misurare quanto è utile quello che diciamo. Al riguardo credo che fosse molto giusto quello che un mio amico rispose al suo suocero quando quest’ultimo gli chiese se avrebbe potuto dirgli qualcosa che secondo lui non andava riguardo alla vita coniugale. La sua risposta fu che il suocero poteva dire tutto quello che voleva, senza porsi dei limiti, Ma poi decideva lui (ossia il genero). Questa sembra la formula corretta: dire tutto quello che uno pensa, senza pretendere dall’altro, ma accettando che poi l’altro si comporti da persona umana, cioè giustamente pretenda di essere convinto di quello che fa.

Il motivo per cui uno deve prendere sul serio anche dal punto di vista razionale le critiche che gli vengono rivolte non è che, rispondendo a tali critiche in modo razionale, argomentato, uno pretenda di convincere l’altro. L’importante è che uno, spiegando le proprie ragioni nel miglior modo possibile, metta l’altro nelle migliori condizioni per poter capire. Poi è chiaro che in ultima analisi l’altro rimane comunque libero. E la libertà, lo sappiamo, davanti non solo alle stesse ragioni, ma addirittura davanti agli stessi fatti, può reagire in modo non solo diverso, ma anche diametralmente opposto: davanti alla risurrezione di Lazzaro alcuni credettero in Cristo, altri decisero, all’opposto, che andava fatto fuori. Perciò: uno ha il dovere di spiegarsi nel miglior modo possibile, attivando tutta la propria umanità, razionalità inclusa; poi se l’altro se ne lasci provocare o meno, a un certo punto è un suo problema.

in conclusione

Sarebbe forse bello un mondo in cui si potesse avere a che fare solo con l'oro del certo (di ciò che è certo, essendo esperienza), e in cui gli esseri umani potessero semplicemente comunicarsi delle esperienze (dei fatti particolari). Ma il nostro mondo non è fatto così: abbiamo quotidianamente e inevitabilmente a che fare, oltre che col certo, con l'oro del certo, anche col probabile, con il bronzo, il ferro e magari il fango, del probabile: e sul probabile non può bastare condividere esperienze, ma occorre confrontare argomenti (in base anche a concetti universali).

L'importante è farlo nel modo più dialogico e benevolo possibile. Ricordando che siamo tutti membri di una stessa grande famiglia. Anzi di un unico Corpo.

📚 Bibliografia essenziale

  • , Ces Écritures qui nous questionnent, Paris 1987(compra su amazon o compra su IBS).
  • , Confessiones, 395/410, tr.it. Le Confessioni, Paoline, Cinisello Balsamo (compra su amazon o compra su IBS).
  • , Les nouveaux penseurs de l'Islam, Paris 2004(compra su amazon o compra su IBS).
  • , Dia-logos. Per una ragionevole convivenza in una società multiculturale, Venezia 2023(compra su amazon o compra su IBS).
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  • , Le Festin, Paris 2007(compra su amazon o compra su IBS).
  • , Vers une théologie chrétienne du pluralisme religieux, Paris 1997(compra su amazon o compra su IBS).
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  • , Pace e interculturalità, Milano 2002(compra su amazon o compra su IBS).
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